lunedì 21 febbraio 2011

Materiali... 2010

Gli ultimi tre libri di Mario Benedetti formano un sistema dialettico: leggerli in parallelo fa comprendere l’evoluzione di un percorso poetico che raggiunge la sintesi con Materiali di un’identità. La scrittura è composta da poesie, prose e da una «tipologia testuale saggistica» che non abbraccia i meccanismi logici e argomentativi caratteristici del genere: i nessi concettuali sono articolati da una capacità di osservazione interamente lirica. Il libro prosegue la ricerca esistenziale di Umana gloria (2004) e Pitture nere su carta (2008): chi scrive lo fa per trovare e riconoscere se stesso, le esperienze, le cose che gli sono appartenute o che gli appartengono.
Materiali di un’identità è un titolo chiave: il senso dell’identità è ciò che la poesia di Benedetti ha sempre scavato, e i materiali sono l’approdo di questa ricerca. L’identità non viene più riconosciuta o supposta per le essenze di cose e persone, ma è sbriciolata in entità, corpi, atomi che compongono il nostro mondo e sono il tutto, ma mai il particolare essenziale. Per questo il tutto arriva a coincidere con il nulla, con il vuoto («La sconfitta più grande è il non essere tutto»). Materiali parla di una tensione verso il vuoto, nello stesso modo in cui, nella Persuasione e la rettorica, l’immagine del peso che tende verso il basso è metafora dell’uomo che anela all’assoluto. L’opera di Michelstaedter è l’argomento su cui Benedetti si è laureato: unita alla lettura di Bataille, Rilke, Salvia, Celan, rappresenta il retroterra di questa scrittura. Come l’uomo di Michelstaedter, l’io dei Materiali non può più conoscere le cose in «modo diretto», ma in «modo congiunto»; non sa più comunicare, ma significare. I riferimenti a Michelstaedter trovano in Bataille un riepilogo speculativo: l’idea di una poesia «decaduta», «godimento di immagini sottratte», fatta di «rovine», di cui parla l’Esperienza interiore, è un comune denominatore tra il rapporto visibile/invisibile delle Elegie Duinesi, i collegamenti fra significanti slegati in Salvia, la poesia franta di Celan.

L’indagine esistenziale segue un processo di disumanizzazione. In Umana gloria le poesie hanno una trama, esiste un io che può ancora ricostruire l’esperienza vissuta: la testualità è spesso frammentata, ma la ricerca del soggetto è espressa con versi che la rendono esplicita al lettore. In Pitture nere la scrittura procede per automatismi: le esperienze non hanno più forme compiute e definite, la loro essenza si separa dalla loro materia, si disperde. La materia popola un universo nero in maniera disarticolata: colori, lacrime, reliquie, smalti, supernove sono punti di orientamento percettivi che restano sospesi. Nei Materiali, la «tipologia testuale saggistica» e la struttura del libro ricompongono a posteriori la dispersione. La prima parte, La lacerazione del vertice, parla di una poesia che ha perso il centro, l’integrità, come un corpo che non solo non riconosce più la distinzione tra fisicità e psiche, ma viene ridotto a «sangue» (p. 41), sua materia costitutiva. Se il corpo diventa il materiale di cui è composto, l’io e il tu non hanno più la capacità di esistere l’uno per l’altro: le loro esperienze sono atomi fra i tanti che compongono l’universo, sono a metà sulla terra, a metà nel cielo, senza possibilità di contatto autentico. Lo spazio popolato dai materiali disumanizzati è raccontato nella sezione di chiusura, Biosfere: nell’ultimo testo, L’azzurro, il tutto e il vuoto raggiungono una forma di equilibrio quasi estatico, come risolto, pacificato. Ma sono riproposti anche gli automatismi di Pitture nere, che danno l’immagine di una poesia aperta con un significato aperto. Materiali chiude a posteriori un percorso poetico, lasciando in fieri gli interrogativi esistenziali. La ricerca di Benedetti ha raggiunto la forma del saggio-lirico: ma resta nell’aria, in attesa.

Maria Borio

Nessun commento:

Posta un commento